Si sa che i nostri "dirigenti" hanno sbagliato molto e a volte moltissimo e che continueranno a farlo. Il motivo è semplicissimo: essi sono costretti continuamente a prendere decisioni, ma per farlo hanno a disposizione il nostro stesso cervello (grammo più grammo meno) che è un organo meraviglioso e potentissimo, ma non è certamente la macchina razionale da calcolo che spesso tutti immaginiamo di possedere ( e sicuramente non sono pochi anni di studio a renderlo infallibile). Tantissimi studi hanno dimostrato che il nostro cervello - durante la sua evoluzione - ha accumulato un'infinità di cattive abitudini, di pericolose inclinazioni al pregiudizio, di scorciatoie mentali che lo rendono un eccezionale produttore di errori.A questi errori dobbiamo somnmare gli abbagli acusati non dall'evoluzione naturale bensì dai numerosi condizionamenti al suo corretto funzionamento che possono derivare dall'educazione o dal condizionamento sociale che inevitabilmente ciascuno di noi subisce.
Il cervello quindi sbaglia e sbaglia non occasionalmente.Basta questa semplice considerazione a rendere evidente quanto pericolosa sia l'ipotesi della "razionalità" nel comportamento del soggetto decisore che sorregge buona parte dei modelli di analisi ad oggi disponibili.
Quindi chi si trova concretamente a dover assumere decisioni è un essere umano con tutti i suoi pregi ed i suoi difetti e, come tale, risulta molto distante dall'essere "razionale".
Eppure, tutti noi siamo, troppo spesso, vittime inconsapevoli di questa "razionalità" (un'illusione).
Si può affermare che l'ipotesi della razionalità risulta comune alla stragrande maggioranza delle persone e che molti di noi sono convinti che molte delle decisioni prese trovino fondamento nella razionalità. Non è così.
Emerge che, molte volte, chi prende decisioni crede siano giuste e ragionate "razionalmente" ma non è così. Possiamo parlare di razionalità limitata di alcuni soggetti che a causa dei limiti del loro sistema cognitivo compiono scelte sicuramente non ottimali e che il più delle volte risultano appena soddisfacenti.Queste carenze nelle scelte decisionali il più delle volte sono dettate dalla mancanza di informazioni che possono influenzare positivamente le decisioni stesse ed in alcuni casi la mancata considerazione di alcuni dati in possesso.
Peso importante va dato anche alla mancanza di raccolta delle informazioni per tramite un vettore semplicissimo che si identifica nel linguaggio, ovvero nell'assunzione di informazioni e di scambio di opinioni con il personale.Non parlare con il personale (od avvalersi di questo) contribuisce a causare una notevole mole di errori o quantomeno a formare ambiguità interpretative.
Tutto questo comporta inevitabilmente una serie di errori nella stragrande maggioranza delle decisiooni che vengono prese e non deve stupire il fatto che chi di professione è costretto ad operare scelte, in situazioni di evidente carenza "informativa", sbagli regolarmente.
Ciò che francamente appare inammissibile è l'incapacità sovente dimostrata da parte dei dirigenti di ammettere una parte, anche modesta, degli errori commessi.Per giustificare scelte evidentemente sbagliate o non ne parlano più oppure invocano spesso comode cause esterne o dettate "dall'alto".Tutto ciò è perfettamente umano ma impedisce di ritrarre l'unico vero vantaggio associato agli errori: l'apprendimento che da essi si può trarre.
Quindi se il dirigente fosse più umile, ascoltasse e parlasse di più, si fidasse di più, sfruttasse di più le doti e le esperienze del personale, probabilmente la limitatezza razionale verrebbe meno con guadagno di stima e collaborazione; sicuramente tutti ne gioverebbero in serenità (l'importanza della serenità per meglio operare è stata ribadita e scritta anche da un recentissino Comandante dell'Arma).
Insomma: bisogna fare i conti non solo con la fallibilità del cervello ma anche con tutti i fattori che l'agevolano.
o.w.
Il cervello quindi sbaglia e sbaglia non occasionalmente.Basta questa semplice considerazione a rendere evidente quanto pericolosa sia l'ipotesi della "razionalità" nel comportamento del soggetto decisore che sorregge buona parte dei modelli di analisi ad oggi disponibili.
Quindi chi si trova concretamente a dover assumere decisioni è un essere umano con tutti i suoi pregi ed i suoi difetti e, come tale, risulta molto distante dall'essere "razionale".
Eppure, tutti noi siamo, troppo spesso, vittime inconsapevoli di questa "razionalità" (un'illusione).
Si può affermare che l'ipotesi della razionalità risulta comune alla stragrande maggioranza delle persone e che molti di noi sono convinti che molte delle decisioni prese trovino fondamento nella razionalità. Non è così.
Emerge che, molte volte, chi prende decisioni crede siano giuste e ragionate "razionalmente" ma non è così. Possiamo parlare di razionalità limitata di alcuni soggetti che a causa dei limiti del loro sistema cognitivo compiono scelte sicuramente non ottimali e che il più delle volte risultano appena soddisfacenti.Queste carenze nelle scelte decisionali il più delle volte sono dettate dalla mancanza di informazioni che possono influenzare positivamente le decisioni stesse ed in alcuni casi la mancata considerazione di alcuni dati in possesso.
Peso importante va dato anche alla mancanza di raccolta delle informazioni per tramite un vettore semplicissimo che si identifica nel linguaggio, ovvero nell'assunzione di informazioni e di scambio di opinioni con il personale.Non parlare con il personale (od avvalersi di questo) contribuisce a causare una notevole mole di errori o quantomeno a formare ambiguità interpretative.
Tutto questo comporta inevitabilmente una serie di errori nella stragrande maggioranza delle decisiooni che vengono prese e non deve stupire il fatto che chi di professione è costretto ad operare scelte, in situazioni di evidente carenza "informativa", sbagli regolarmente.
Ciò che francamente appare inammissibile è l'incapacità sovente dimostrata da parte dei dirigenti di ammettere una parte, anche modesta, degli errori commessi.Per giustificare scelte evidentemente sbagliate o non ne parlano più oppure invocano spesso comode cause esterne o dettate "dall'alto".Tutto ciò è perfettamente umano ma impedisce di ritrarre l'unico vero vantaggio associato agli errori: l'apprendimento che da essi si può trarre.
Quindi se il dirigente fosse più umile, ascoltasse e parlasse di più, si fidasse di più, sfruttasse di più le doti e le esperienze del personale, probabilmente la limitatezza razionale verrebbe meno con guadagno di stima e collaborazione; sicuramente tutti ne gioverebbero in serenità (l'importanza della serenità per meglio operare è stata ribadita e scritta anche da un recentissino Comandante dell'Arma).
Insomma: bisogna fare i conti non solo con la fallibilità del cervello ma anche con tutti i fattori che l'agevolano.
o.w.
Consideriamo anche che, se raggiungono certi risultati... tanto ambiti, lo devono soprattutto a coloro che si sacrificano, che percepiscono quello che loro, in svariate circostanze non prendono in considerazione, il sacrificio, la dedizione che prestiamo ad una giusta causa...loro che fanno? Opportunismo! C'è da ringraziarli o...ma no, del resto, -molto raramente- riescono anche a dirci grazie!
RispondiElimina"Opportunismo" fa rima con "carrierismo".
RispondiElimina...ecco appunto!
RispondiEliminala cosa strana è che addirittura quando si prova ad avvicinarli per cercare di costruire quel dialogo necessario sia a capire quali sono i nostri compiti sia a stabilire quel minimo di stima e conoscenza reciproca necessaria perchè si crei l'armonia per poter lavorare insieme si viene liquidati con due parole di circostanza dette a fatica.. io sono alle prime esperienze ma devo dire che non mi immaginavo una cosa simile..
RispondiElimina