OMELIA
S. MESSA E TE DEUM DI RINGRAZIAMENTO
PER LA FINE DELL’ANNO 2009
Cari fratelli,
ci siamo riuniti in Chiesa, in questa bellissima serata. Dove la luna e le stelle accompagnano i sentimenti del nostro cuore, per celebrare l’Eucaristia nell’ultimo giorno di quest’anno 2009 che volge ormai al termine.
“Figlioli, questa è l’ultima ora” (1 Gv 2,18).
Abbiamo ascoltato queste parole all’inizio nella prima lettura, tratta dalla lettera di san Giovanni, e pensiamo: quanto esse sono attuali! Quanto tutto questa sera converga a pensare alla fine di un periodo.
La fine dell'anno è occasione e motivo per tutti noi di bilanci, di auguri ed è anche un appello pressante a cogliere il senso e il valore del tempo che Dio ci concede.
Proprio sul senso e sul valore del tempo desidero proporvi innanzitutto alcune considerazioni per aiutare la vostra, la nostra, riflessione.
Sebbene si tratti soltanto di un cambiamento di data nel calendario, del fatto che dopo la mezzanotte l’anno 2009 lascerà il posto all’anno 2010, non possiamo tuttavia astrarre quest’evento da tutto ciò che è in noi e attorno a noi.
L’ultimo giorno dell’anno, che sta per terminare, ci mette in modo particolare davanti all’evidenza del “passare”:
“passa la scena di questo mondo” (1 Cor 7,31) e passa, in questo mondo, l’uomo.
Pensiamo in questo momento a tutti gli uomini, per i quali l’anno 2009 è stato l’ultima data nella storia della loro vita sulla terra, è stato cioè la data della loro morte.
Al tempo stesso pensiamo ai diversi avvenimenti che in questo periodo sono passati attraverso l’Italia, gli altri paesi del continente europeo, attraverso tutti i continenti del globo.
Gli avvenimenti che hanno scosso profondamente l’opinione pubblica, che hanno suscitato l’avvilimento e forse, a volte, la speranza.
Gli avvenimenti che hanno avuto la loro fine, oppure durano nelle loro conseguenze, costituendo una sfida, ponendo davanti agli uomini nuovi compiti.
Le parole dell’apostolo Paolo nella lettera ai Galati, ci aiutano a fare luce sul significato più vero del tempo. Paolo ci ricorda che “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna…perché ricevessimo l’adozione a figli” (Galati 4, 4-5).
L’espressione “pienezza del tempo” indica che il tempo corre verso un fatto accaduto, il quale fatto ha raggiunto il suo fine, la sua fine.
Prima di Cristo il tempo era come un’attesa, l’invocazione di Qualcuno che deve venire e ora questo Qualcuno è arrivato: è il Gesù di Nazaret e il tempo si è compiuto.
Ecco, sono “le ultime ore” di questo anno, cari amici.
Sappiamo che tutti gli avvenimenti della nostra vita e del nostro pianeta, passeranno nella storia con la data 2009.
Sappiamo che, insieme a questa data, essi si chiuderanno nei limiti del passato dell’uomo e del mondo.
Il giorno odierno costituisce certamente un termine. È il giorno di una certa chiusura. E noi tutti lo viviamo in tale modo.
E desideriamo viverlo così noi, che siamo qui riuniti nella chiesa della nostra base, per partecipare alla liturgia eucaristica, al sacrificio di Cristo, che è, nello stesso tempo, il “nostro” sacrificio e ci permette di esprimere dinanzi a Dio nel modo più pieno ciò che, in questo giorno, il nostro cuore e la nostra coscienza sentono il bisogno di manifestare.
Nella liturgia eucaristica noi possiamo esprimere a Dio nel modo più pieno il nostro rendimento di grazie e chiedere perdono. Infatti abbiamo certamente di che ringraziare, ma abbiamo anche di che chiedere perdono.
E perciò contenuto particolarmente vivo della nostra odierna partecipazione alla Santa Messa che le parole del prefazio diventino la nostra preghiera: “È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere... rendere grazie... a te”!
A te.
Proprio a te, Padre, Figlio e Spirito Santo.
Allora carissimi, vogliamo ringraziare per tutta l’abbondanza del mistero della nascita di Dio, nella cui luce sta passando l’anno vecchio e nasce quello nuovo.
Quanto è eloquente che il giorno che umanamente parla soprattutto del “passare”, quanto sia importante ringraziare dei doni ricevuti.
E insieme a questo rendimento di grazie, vogliamo sottolineare le parole della liturgia, iniziando dal “confiteor”
passando, attraverso il “Kyrie, eleison”,
fino ad arrivare all’“Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo”
e al nostro “Signore, non sono degno...”.
Mettiamo in queste parole tutto ciò che vivono le nostre coscienze, ciò che grava su di esse, ciò che soltanto Dio stesso può giudicare e perdonare. E non rifuggiamo dallo stare qui oggi davanti a Dio con la coscienza della colpa, come nell’atteggiamento del pubblicano del Vangelo, anzi assumiamo proprio questo atteggiamento. Esso corrisponde appunto alla verità interiore dell’uomo. Esso porta la liberazione. Esso, proprio esso, si collega con la speranza.
Sì. La speranza dell’uomo e la speranza del mondo contemporaneo, la prospettiva del futuro davvero “migliore”, più umano dipendono dal “confiteor” e dal “Kyrie, eleison”. Dipendono dalla conversione personale che è capace di trasformare non soltanto la vita personale dell’uomo, ma la vita degli ambienti e della società intera: dagli ambienti più piccoli fino a quelli sempre più grandi, fino a comprendere l’intera famiglia umana.
Una cosa significativa: nel giorno in cui pensiamo, prima di tutto, al termine, alla fine, la liturgia tende la mano verso le parole che parlano del principio: “In principio era il Verbo / e il Verbo era presso Dio / e il Verbo era Dio. / Egli era in principio presso Dio” (Gv 1,1-2).
Il termine ordina di risalire col pensiero al “principio”.
La fine dell’anno al suo inizio.
Il termine della vita al suo inizio.
Tuttavia il prologo del Vangelo di san Giovanni ci ordina di ritornare a quel “principio”, che è prima del tempo, prima del mondo, prima di tutto ciò che vive in questo mondo e muore, ha un inizio ed una fine... Ci ordina di ritornare al “principio” di ogni cosa, il quale è in Dio. In Dio stesso. Appunto, il Verbo: “Tutto è stato fatto per mezzo di lui / e senza di lui niente è stato fatto / di tutto ciò che esiste. / In lui era la vita / e la vita era la luce degli uomini (Gv 1,3-4). Ed ecco: quel “principio” assoluto e incondizionato, di tutto , si è legato con il tempo dell’uomo. Con il passare. Con la sua vita e con la sua morte. “E il Verbo si fece carne / e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Da quel momento dobbiamo contare il nostro tempo in un altro modo. In altro modo comprendere e valutare la nostra vita. In altro modo vivere il nostro passare: la nascita e la morte dell’uomo e di tutto ciò che è umano.
La nostra esistenza è radicata non soltanto nel mondo, che passa, ma anche nel Verbo, che non passa. E perciò alla fine di quest’anno, quando ascoltiamo le parole: “Egli era nel mondo... / eppure il mondo non lo riconobbe” (Gv 1,10), dobbiamo chiedere:
che cosa abbiamo fatto per conoscere meglio, nell’anno che sta passando, questo Verbo che si fece carne?
Che cosa abbiamo fatto perché, mediante noi, gli altri lo conoscessero meglio?
Che cosa abbiamo fatto perché la vita umana ritrovasse la sua forma piena e matura, quella che le conferisce il Verbo?
Ascoltiamo inoltre: “Venne fra la sua gente, / ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11). E nuovamente dobbiamo chiedere:
l’abbiamo accolto?
o piuttosto l’abbiamo scostato e respinto?
abbiamo introdotto nella vita questo Verbo che si è fatto carne per noi e per la salvezza di tutti gli uomini?
che cosa abbiamo fatto perché gli altri lo accogliessero?
Terminiamo qui. Sì. Terminiamo con una tale domanda. Con queste poche domande che ciascuno di noi può moltiplicare nel suo cuore e nella propria coscienza.
Terminiamo in questo modo l’anno 2009, che sta passando. Poiché così l’apriremo in maniera migliore verso il futuro: verso il futuro immediato, che inizierà tra poche ore e verso quello definitivo che è in Dio, in Dio stesso.
Il Verbo è il futuro definitivo dell’uomo e del mondo. È questo Verbo che nella notte di Betlemme si è fatto carne.
Da oggi riprendiamo il cammino e rimettiamo al primo posto nella nostra vita Cristo, attraverso una vita seria personale.
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